La contessa Matilde - Edizione digitale XMLcompiled byMaria Federica CartenìCarte Tommaseo Online2025
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Carte d'autore onlinePoesieTommaseo, NiccolòSuccessori Le MonnierFirenze1872Trascrizione e revisione testiMaria Federica CartenìClaudio LupinuMarcatura XML testiMaria Federica CartenìManuela FerraroCodifica XML automatica estratta da WCM-BDGiovanni Salucci - MRX srlCoordinamento scientificoSimone Magherini
La contessa Matilde
Il pianto delle squille vespertinePer li romani colli si spandea.Scesa dal suo destrier, fra le ruineBelle, d’un tempio sacro a Citerea,Matilde, in ferro chiusa il petto e il crine,Presso Gregorio tacita sedea.E ’l Papa incominciò: —Dimmi, Contessa,La storia de’ tuoi primi anni, promessa. —— Sì tosto come giunse la novella,Di Lorena venir Fredo il mio sposo,Molti signor’ di terre e di castellaDal Po superbo all’Appennin selvoso,A me ligi, raccolgo, acciò che bellaFacesser l’accoglienza e il dì festoso:E incontro gli muoviam: d’oro i destrieri,D’oro l’arme lucean de’ cavalieri.Piene le gote avea, la voce esile,Mal sicuro l’andar, grave l’aspetto:Dalle incomposte membra una gentileAura spirava di velato affetto,Che ad ora ad ora si facea simìleA cupo orgoglio ed a senil sospetto.Qual tra persone vive incerta idea,Tal fra gli Itali miei Fredo parea.E miste di latino e di tedescoStrane blandizie andava mormorando.Ma poi che alfin dall’imbandito descoGli ebri baroni si venian levando,Dall’ampie sale vergognando i’ esco,E alla Vergine in cor mi raccomando,Madre del bello amor, che le sien grateLe primizie di mia verginitate.E per mio cenno inginocchioni anch’essoPregò, da me dettata, una preghiera,Che in buono augurio Iddio, con altre appresso,Passar ci faccia quella prima sera.Indi, ogni cinto dislacciato, e messoGiuso ogni velo, a lui mi lascio intera.E d’una cosa sol mi vergognai,Confesso a te: non gli piacere assai. —La interruppe gemendo a questo passoPapa Gregorio, e con affetto austero,— Matilde, mormorò, parla più basso,E chiudi a tai memorie il tuo pensiero.Il peso della carne è grave sassoChe tira al fondo l’intelletto altero:E una parola all’anima tranquillaÈ d’incendi lunghissimi scintilla. —Qui, rimettendo della voce alquanto,Rispondea con rossor la pia Contessa: —Di quella notte, e poi dell’altre, o santoPadre, a te voglio in tutto esser confessa.Tu mi dirai quant’io rea fossi, e quantoMisera; e in te conoscerò me stessa.Che del par nuovo parmi al piacer veroE alla virtù verace il mio pensiero. —— Sulle dolcezze invan desiderate,Diss’ei, la mente tua corra leggiera,Come leggiere pon le sue pedatePer lubrico terren cacciata fiera. —E di madre e di sposa a sè vietateNarrò le gioie allor la donna altera;Come scoperse il ver, come all’amoreLa fantasia s’aprì, si chiuse il cuore.— Ira ed orgoglio a un tratto in me consunseL’acre desìo, de’ sensi miei tiranno.Dissi: la tua follìa, Duca, presunseAlle grandezze nostre fare inganno.I corpi che natura non congiunse,Sotto ad un tetto ad abitar non hanno.Sia perdonanza alle codarde offese,Ma tu ritorna ratto al tuo paese. —Egli, pien di vergogna e di paura,Se ne tornò di cheto alle sue case.Sola, nè moglie nè vergine pura,Co’ suoi desir Matelda si rimase.Nè le memorie della sua sventuraGiammai le fûr dall’anima sì raseChe, in pensar del passato, ella ancor possaFar che non senta un brivido per l’ossa.— Ma con l’ardenza del desir pugnavaDi delusa l’orgoglio e di contessa;E il tempo e la preghiera avvaloravaL’alma dai giovanili impeti oppressa.Poi nelle cure del regnar gettavaMe, quasi in mischia ardente, e, in quella pressaD’acri speranze e di non miei timori,Poco il blandir sentii de’ molli amori.Foglio aggiunto, r.
Foglio aggiunto, v.
Garzon’ leggiadri e nobili guerrieri,Desiderosi della mia bellezza,Con gran diletto entrâr ne’ miei pensieri,E di talun di loro ebbi vaghezza:Ma quai dimessi, e quai soverchio alteri,In chi acerba la vita, ed in chi mèzza:Tal altro avea valor, senno, possanza,Ma del Tedesco mio rendea sembianza.Le rimembranze mie fatte terroriMi facean pure a giogo d’uom nemica.Sempre fra me dicea: duchi e signori,Di chiaro nome e di progenie antica,Ho miei vassalli; e papi e imperatoriPosso, avversa, attristar, far lieti amica.Che potrìa darmi un uom? può far mia sorteOntosa, s’egli è vil, serva, se forte.Anima in me romita, esercitaiLe faticose gioie dell’impero:O or indicer battaglia, or chiesa amai,Or castello fondare, or monastero.Sui toschi monti e sui roman’ fermaiPien di guerra e di pace il mio pensiero:Tenni d’Ancona i campi e di Guastalla,E dove l’Arno e dove il Po s’avvalla.Nè mai dal chiuso petto si partìoIl sospiro dell’anima solinga;E per la notte lamentava a Dio,Quale su’ tetti passera raminga.Ma (....come stral che di gran foga uscìo,Ch’assai lontan forz’è che il volo spinga)Non si fermava nelle cose vili,Pieno lo sguardo mio d’alte e gentili. —— Figlia, Gregorio domandava, e oraI tuoi desiri ti dann’eglin pace? —A cui Matilde: — Ancora, o padre, ancoraL’acuto grido del mio cor non tace. —Ed ei: — Soffri, infelice, e ti rincora;Chè quel che scalda te, molti disface.Ogni calice, donna, ha il suo veleno;E ciascun porta una battaglia in seno.Scuoter convien da noi gli affetti imbelli,Sì come l’arbor dalle vive frondiScuote la pioggia, che farà più belliDi nuovo verde i rami e più fecondi.Nascemmo, o donna, di Gesù fratelli,A più sublimi affetti e più profondi.Divelto fiore in un dì si muor tutto:Io vo’ rimanga, e vo’ ch’alleghi in frutto. —Tacean cogli occhi a terra: ed ecco un tetroLume di faci uscir loro alle spalle,E sonar mesti canti, ed un ferètroScendere lento vêr la bruna valle.S’alzò Gregorio, e non fe’ motto, e dietroA quello andò per il solingo calle.Sul palafren salì Matilde armata,E scintille mettea l’ugna ferrata.