S. Michele. IV. Meditazione
L’aria non veggo che tra’ miei capelli
Scherza, e nel petto mi ricrea la vita,
Ma ben veggo la stella, il cui sorriso
Anzi che giunga nella mia pupilla,
La giovanetta è sposa ed orba madre.
Lontan da’ vostri giri, Angeli santi,
Più che da Sirio è la terrestre arena.
Quaggiuso a un tempo e su nel ciel vi miro;
Vi sento in me: chè la mia fè v’appressa
E il vostro amore: e chi ci unisce, è Dio.
Odo un suon di benigne acque correnti
Oltre la selva fonda; odo il concento
Di gaî volanti tra le fronde ascosi;
E mi spirano odor distinti e misti
Da rinchiuso giardin rose e vïole.
Grazie, pietosa Fede. E chi siam noi,
Cui tanta al fianco infermo ala consenti?
Che in un suon ci riveli ignoti mondi,
E alcun de’ nomi a balbettar c’insegni
Che nell’Immenso eterno echeggeranno?
Come alla valle il poggio, al poggio il monte,
A’ monti l’aria circonfusa, e a quella
Gli astri del sol seguaci, e al piccol sole
Sovrastano a scaglion’ soli giganti;
Tali all’umana angeliche famiglie.
L’ una all’altra è ministra e messaggiera;
Fitti quasi in battaglia, e pur ciascuno,
Per diffuso d’affetti ordine, regna.
Vince il numero lor nostro pensiero,
E si conoscon pur come gemelli.
Tu che vincesti l’infernal battaglia,
E la vinci ogni dì, splendi modesto
Pur nella terza gerarchia, Michele:
Sette almen sovra te storie di mondi
Corron segnate di maggior mistero.
Tu, dall’alba de’ secoli al tonante
Disfavillar della suprema fiamma,
Scorgi, Arcangel di Dio, le nostre menti;
E radïante anel, per cui la terra
Pende dal cielo, è ’l trionfal tuo nome.
Non se, scagliati da vapor che scoppi
In bollenti rovine issero i mondi;
Non se il creato in libera agonia
(Quasi anelante a un tratto a morte e a vita)
Trambasci, e sè contro se stesso avventi;
Nulla potrà lo spirital conflitto
Il conflitto agguagliar che tu, minore,
Contro il sovran de’ principi durasti:
Chè in cielo e in terra alto consiglio elegge
Il men forte a calcar serpi e tiranni.
Tu ’l mareggiar del primo incendio attuti
Coll’alito del labbro e col sorriso;
E te tremendo di bellezza umìle
Sentì il dragon che colle spire ardenti,
Disconfitte dal ciel, svellea le stelle.
E fûr divise allor l’acque dall’acque,
L’acque che al fiore in grazia il ciel destina,
E il fior le rende al ciel prece ed incenso;
L’acque mugghianti per tempeste e mostri,
Al marinar, che ne perìa, non visti.
Nostra virtù, Michel, cresci a’ cimenti,
E questi e quella in tue bilance adegua.
Magnanima umiltà, franco di spregi
Zelo pudico, meditato ardire:
E, come in cielo, si combatta in terra.
Vento se’ tu, che, vane nebbie, sgombri
Le potestà dell’aëre tiranne;
Aura soave, che ne’ fior’, ne’ massi,
Nell’acque vive, ne’ pensier’ del cuore
Brividi e caldo di bellezza ispiri.
E te, Michel, diremo ardente muro
Tra gli schiavi campati e i lor tiranni;
Te, Gabriele, agli esuli compagno;
Te, Raffael, velata luce e fida
Al pellegrin soletto e al padre cieco.
Per l’uom solingo e per le intere genti
Voi combattete, o pii, guerra sublime.
E qual d’affetti e d’opre belle induce
Schiera maggior, di quella gente in nome
Quell’Angelo ha vittoria innanzi a Dio.
Noi l’accennar del sacro fuoco, e il lento
Camminar della nube condottiera
Che i suoi conguaglia ai nostri passi stanchi,
Spregiammo; e dalle libere pendici
Il cattivo pensier torna in Egitto.
E te, sceso il destrier d’aura e di fuoco,
Poste giù l’armi, scintillar di pace
Vide Italia, Michele, in sul Gargàno;
Italia schiava, a cui le glorie e l’onte
Di Giuda e d’Israel misura Iddio.
Angeli santi, a cui la sorte è in cura
Delle Chiese di Dio che un dì saranno,
E delle antiche, or desolata arena;
Il passato noi guidi, or nube, or fiamma,
Noi, nube e fiamma, all’avvenir siam guida.
Corra il pianeta nostro i suoi sentieri
Non di vergogna e non di colpa ingombri:
Ve ne preghiam per il comune Iddio.
L’uom dei dolor’, che amaste ancor non nato,
Del suo sangue irrorò l’ultime stelle.