Il perdono de’ defunti a’ viventi
Voi che di tardo affetto,
O di non degno e impazïente, amai;
Cui fredde o con sospetto
Del compatir le sacre acque versai,
Più vivi in me che mai,
Venerati defunti,
Che sangue ed amistà m’ebbe congiunti;
Se nel pentito core
Non leggeste dall’alto i pensier’ miei,
Disperato dolore
E d’arido rimorso angoscia avrei.
Ma buono, o Dio, tu sei,
E tuoi son essi. Io sono
Certo del lor, come del tuo, perdono.
Ecco, mentr’io favello,
Scendono, compagnia consolatrice,
E mi chiaman fratello,
E ciascuna di lor mi benedice.
Con voi l’alma infelice,
Cara immortal famiglia,
Parla e piange e s’allegra e si consiglia.
Quanti dolor’ non vili,
Fermo in voler di carità, soffersi,
A quanti alti e gentili
E presaghi pensier’ l’anima apersi;
Ogni ben mio si versi
Ad espiare i torti
Ch’io feci a’ cari miei che mi son morti.
E in quant’anime, o Dio,
Lasciai di colpa, anco leggier, ferita;
Possa l’esempio mio
In tante, e più, salda rifar la vita.
Pregovi a ciò d’aìta,
Cari defunti, e scenda
Il vostro amor su noi, comune ammenda.
Chè dalle morte genti
Sgorga profondo della vita il fiume,
E il prego de’ viventi
Rende alle spente età perpetuo lume;
E con stellate piume
Amor la lunga traccia
De’ mondi andati e de’ venturi abbraccia.
1853.