Solitudine. A mia madre - Edizione digitale XMLcompiled byMaria Federica CartenìCarte Tommaseo Online2025
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Carte d'autore onlinePoesieTommaseo, NiccolòSuccessori Le MonnierFirenze1872Trascrizione e revisione testiMaria Federica CartenìClaudio LupinuMarcatura XML testiMaria Federica CartenìManuela FerraroCodifica XML automatica estratta da WCM-BDGiovanni Salucci - MRX srlCoordinamento scientificoSimone Magherini
Solitudine. A mia madre
Quasi indistinto gemito,Languida al cor mi giungeLa tua soave immagine;Nè assai lo stral mi punge,Madre, del tuo dolor.Altri dolor’ men piiPiù forte in me sentii,Altri, e men sacri, amor’.Baciai di donna estrania,Come di madre, il viso;Nè la tua pura angosciaNè ’l puro tuo sorrisoM’han tocco di pietà.Lassa, dal suo dilettoIndizio alcun d’affettoLa madre mia non ha.Ed io, crudel, continuaEro al suo cor ferita:La notte a lei di lagrimeEmpievo, a lei la vitaDi tedio e di timor.Ahi la tua vita, o pia,Non è che un’armoniaDi prego e di dolor.Ma già ’l dolor l’immobileOmbra de’ larghi vanniStendea sull’incolpabileFiorir de’ tuoi begli anni.Questa, ch’io sento in me,Di mesto amor dolcezza,Questa di pianto ebbrezza,Madre, mi vien da te.E il pur vedermi, o misera,Ti renderìa beata.Nè sospirò sì languidaFanciulla innamorataGli occhi del suo fedel.Della mia voce il suono,D’un mio sorriso il dono,Altro non chiedi al ciel.Ed io tel nego: ed animaCortese ostento ed alta.Sull’ali del fantasticoPensiero in me s’esalta,E par sublime, il cuor.È questa, ond’io mi vanto,Ambizïon di pianto,Solletico d’amor.Tempo verrà che vividiCol declinar degli anni,Quasi rimorso indomito,I tuoi materni affanniRisorgeranno in me.Già questa, in ch’io m’aggiro,Noia affannosa, è spiroD’amor, che accenna a te.E allor che, infermo e vedovoD’ogni terreno affetto,Le notti solitarieSul letticciuol neglettoE ciechi i dì trarrò;Allor turbata e in pianti,O madre, a me davantiL’immagin tua vedrò.Sogni cangianti, e steriliGioie del vuoto ingegno,Voi per sentier di triboliA interminato segnoTorceste il mio cammin.Se ignoto accanto a leiRestavo, almen sapreiDella mia vita il fin.Ed or, dov’è la patria,Dove la mia famiglia?Di chi son io? le dubbieMie strade or chi consiglia?Chi regge il mio languir?Di qual donna amorosaSul seno il mio riposa,Lieto del suo gioir?Tardo e superbo, all’animaS’apprese un gran pensiero:Farmi agli afflitti popoliNunzio del santo vero,A Italia mia legarGli esempi del patire,Vincer, pregando, l’ire,L’ire d’amore armar.Ma disdegnosa e debole,Ed in peccato tinta,E sparta, e or troppo agli uominiStraniera, or troppo avvinta,La mente insana or va,Or viene, e lenta ondeggia;Ne’ suoi pensier’ vaneggia,L’arte d’oprar non sa.E pur s’avanza. Un impetoDell’inspirato core,E del commosso secoloL’istinto, e il mio doloreDicono a’ miei pensier:Sola la morte è posa,Sola la tomba è sposaAll’uom che annunzia il ver.Forse divisi, o miseraMadre, il terreno esiglioLasciar dovremo; e i languidiOcchi, morendo, il figlioRicercheranno invan:Invan nell’ agoniaPer benedirmi, o pia,Distenderai la man.Ma scenderà beneficaL’ultima tua preghieraIn me, siccome tacitaSui fior’ chinati a seraLa stilla del mattin.E pioverà da leiRimedio a’ falli miei,Conforto al mio cammin.1834.