Agli amici. In morte d’uno d’essi, Antonio Marinovich - Edizione digitale XML compiled by Maria Federica Cartenì Carte Tommaseo Online 2025

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Carte d'autore online Poesie Tommaseo, Niccolò Successori Le Monnier Firenze 1872
Trascrizione e revisione testi Maria Federica Cartenì Claudio Lupinu Marcatura XML testi Maria Federica Cartenì Manuela Ferraro Codifica XML automatica estratta da WCM-BD Giovanni Salucci - MRX srl Coordinamento scientifico Simone Magherini
Agli amici. In morte d’uno d’essi, Antonio Marinovich

QUESTI VERSI, E TUTTO IL VOLUME, DEDICO, IN MEMORIA DELLA CINQUANTENNE AMICIZIA, ALL’ABATE GIOVANNI STEFANI, AMICO D’ANTONIO ROSMINI, E MIO PIÙ CHE FRATELLO.

Febbraio sospirò, sorrise aprile Sulla sua sepoltura; ed or le acute Aure d’autunno, e mite il sol, sull’erba Cui nutre il corpo dell’amico mio, Spargon di passe susurranti fronde Pianto, e corona di tepidi rai. Le soavi d’autunno aure spirai Teco sovente, e sulle placid’onde Dalla mesta collina errar vid’io, Quasi nel volto di fanciulla acerba, I be’ color del cielo. E per le mute Ombre tornavo, o anima gentile, Teco d’amor parlando e di dolore, Teco di gloria e spirital bellezza, E di caduta speme, e di sorgenti Rimembranze, e de’ popoli, e di Dio. Già più stanco d’assai, pur con più forte Lena portavi la gravosa vita. Mal ti conobbe il mondo: e la romita Coscïenza chiudea di sè le porte, Sola al tedio, al piacer, sola al desio. Fior pellegrino in mezzo a sassi algenti Crescesti; e del mattin la casta orezza Di te recò novella al tuo Signore, Che diè, rugiada al calice languente, Sua fede santa, e m’inviò che all’aura Tua s’ispirasse mia timida vita. I’ ti conobbi, e ti sentii fratello, E l’anima vogliosa rinfrescai Dell’amor tuo nella riposta vena. Premio veniami il tuo sorriso, e pena Il tuo silenzio: e con più cor volai, Te mostrator, per l’alte aure del bello. Per lunghe terre e mar da te partita, Come lontana nube al sol s’inaura, Raggiava a te mia giovanetta mente. Teco i’ parlavo. I fior’ d’Italia e il santo Cielo, e di Francia l’aër tetro e il fango, Fidi a te radduceva i miei pensieri. A te le viste e le pensate cose Narravo: e tu, delle terrene noie Forma già scarca, mi leggevi in Dio. In lui ben vedi il mio pentir, perch’io Non di quante potei fraterne gioie Rasserenai le tue ore dogliose. Or gl’insani sospetti e i cenni alteri Tornanmi innanzi, e ne vergogno e piango: Ma poca al fallo è la vergogna e il pianto. O Antonio, o cari miei, quanti la morte, Quanti l’Amor che noi chiamiam fortuna, Provvido in sua ripulsa, a me contende; Quanti d’amplesso e di parola pia Rïaveste il solingo derelitto, Quanti d’ignota a lui santa preghiera; Quanti il tesor dell’anima sincera Desïanti gli apriste; e a me confitto In valle ombrosa, i cieli e l’armonia Che pel vano raggiante alta si stende, Rivelaste divini; e il core ad una Molle al piacer gli feste, a’ dolor’ forte; Varii d’età, d’ingegno e di paesi, D’amistà paghi e a gioia altra restii, O di profondi amor dolenti o lieti; Famosi al mondo, o della propria fama E dell’altrui più grandi; austeri in vista, Qual terren che fuor geli e che dentr’arda; Ferma in volere, all’operar gagliarda Fate l’anima mia, che nuove acquista Tempre dagli anni, e più mollemente ama: D’aure virtù spiranti, e di segreti Cenni e messaggi la beate, o pii, Lumi d’amor, per me nel cielo accesi. Tu, mio Melan, che la sopita mente Con lo splendor della parola arguta A calde fantasie mi concitasti; Rammenti or più le passeggiate notti Lungo la Brenta, e l’usignol che al mesto Concento rispondea de’ tuoi pensieri? Tu che all’irato duol dell’Alighieri E agl’italici pianti il cor m’hai desto, Che i lenti ingegni o a turpe insania rotti E il secolo irrisor meco sdegnasti, Filippi, ove se’ tu? Forse già muta È in te la voce dell’afflitto assente. Te pur conobbi, e il tuo fervente ingegno, Qual compresso liquor, Biava, saggiai. Te che dall’alto del dolor poggiasti Al ciel, S ..., invidïai con gioia; Semplice, caldo, pazïente amico, Padre nel duol beato, e sposo amante. O Angela, o Maria, pietose e sante Al giovanetto nel patire antico, Nè vi vedrò più forse anzi ch’io muoia. Cara coppia e gentil, non obliasti, Spero, gravata de’ tuoi proprii guai, Chi del tuo puro affetto ahi non fu degno. S’io li trovassi un dì, quanto cangiato L’uno all’altro parrìa da quel di prima, I pensier’, gli atti, il viso, e la parola! Solo il misero cuor sarìa quel desso; Senonchè più dolor nella dolcezza, E più quïete nel dolor, parrìa. Navi affrettanti per diversa via Siam noi nel mondo. Amara e corta ebrezza È l’incontro d’amor, sogno l’amplesso. Sola un’aura ci resta e con noi vola, Ch’or ci spinge, or ci abbatte, or ci sublima, Pur mormorando il suon d’un nome amato.