Libertà. A un fuoruscito, infermo a morte - Edizione digitale XML compiled by Maria Federica Cartenì Carte Tommaseo Online 2025

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Carte d'autore online Poesie Tommaseo, Niccolò Successori Le Monnier Firenze 1872
Trascrizione e revisione testi Maria Federica Cartenì Claudio Lupinu Marcatura XML testi Maria Federica Cartenì Manuela Ferraro Codifica XML automatica estratta da WCM-BD Giovanni Salucci - MRX srl Coordinamento scientifico Simone Magherini
Libertà. A un fuoruscito, infermo a morte Vivi, infelice, vivi. Ancor non hai Nè conosciuto nè sofferto assai. Tal si rimane augel cui straziate abbia Piombo crudel le giovanette piume. Di rei felloni la codarda rabbia Del natìo ciel t’invidia il dolce lume: Fra’ cuori ignoti e fra straniere brume Senza requie nè mèta errando vai. Tutti del pigro inglorioso esiglio Ricever dêi nel cor gli ottusi strali. I compagni vedrai col tuo periglio Alleviar, potendo, i proprii mali: Lo spregio e la calunnia batter l’ali Infaticate sul tuo capo udrai. Ti sonerà di libertade il grido Urlo feral, non amoroso canto. Quasi braccio che tremulo e malfido Non obbedisce all’alma, e cade affranto, Cader fiaccate le minaccie e il vanto Degl’invocati salvator’ vedrai. Ti chiamerà malvagio o stolto o vile La prepotente giovanil baldanza: Il compro senno ed il languor senile Grideran folle o rea la tua fidanza. Il bel fior della vergine speranza Senz’alcun frutto morir piangerai. E quando incerto, umilïato e solo Ti troverai rimpetto al tuo desìo, Al novo amor le vecchie cose il duolo Rivelerà. Vedrai la plebe e Dio. Dalle arene del dubbio un fresco rio Sgorgar di fe’ profonda ammirerai. Non è scintilla di percossa pietra Libertà, ma splendor che vien dal cielo. Non soffio umano, aria se’ tu, che l’ètra Empie e alla terra è spiro e tetto e velo; Spande i germi di vita, e ’l caldo al gelo E l’atre notti alterna ai giorni gai; E le tempeste lo rifan più puro. Noi del tuo spiro, o santa, ancor non degni, Per lubrico sentier fangoso e scuro Bruttiam gli affetti e strasciniam gl’ingegni. D’ire tiranne e di servo odio pregni, Son le ignoranze nostre, i nostri guai. Ma nostra mente, a ciascun dì che cade, È d’un peso d’errore alleggerita. Più invecchia e più l’oppressa umanitade Si sente nel dolore ingiovanita. Noi cadrem, secche foglie; e maggior vita N’avrà la pianta che del sole a’ rai Eterni eterna sorge; e i nostri affanni Assenneranno la ventura gente. Come sordo fanciul dopo molti anni Parla le voci che, guarito, ei sente, Tale, o Signor, fia d’essi, e insiememente A parlare e a sentir li ispirerai. Vivi, infelice, vivi. Ancor non hai Nè disperato nè creduto assai. Piazza della Bastiglia, 1835.