• La donna. A Giorgio Sand

    La donna. A Giorgio Sand Ombra fugace, ed immortale idea, Sacro, immondo, terribile diletto, Donne, voi siete. La Virtù che crea, Nel vostro grembo il secol rinnovella: Sugge il fanciul da’ vostri baci in pria Il Verbo ch’è fattor dell’intelletto. Siete Dio. Tutta spirto è la bellezza Che lo spirto in voi cerca. Il cor negli occhi, Della voce nel suon l’anima intera; E traspar dalle forme un’armonia Che con man non si coglie: ella risponde All’intimo intelletto dell’amore: Il resto è fango. E incauto al vostro fango L’uom s’inchina, e calpesta il vostro nume; E s’avvisa d’intendervi nel fondo, Come bambino intende i suoi trastulli Se li brancica e infrange. Intere e nette Per distanza allo sguardo entran le cose; Come in pure acque il cielo e l’erba verde Miri dall’alto; ma se in lor t’immergi, Lo specchio è muto. E se, o gentili, il core D’umiltà non vi sfiori arte tiranna, Umiltà v’è natura, e caro istinto La scïenza de’ nobili desii. La Bontà che promette minacciando, Libertade alla donna annunzïava Nascitura dal fallo: e gli occhi d’Eva Nella speme del supplice rimorso, Lagrimando, intravvidero Maria. Nel nome di Maria l’amor più puro, E più sacro il domestico ricetto, E la donna men serva. E queste umìli, Alto ispirando il cuor de’ figli nostri, Libertà porteranno all’egre genti, Chiesta indarno agli sdegni, al senno, all’armi. E saran da’ tiranni abbracciamenti Franche e dal reo martir de’ servi baci: O figliuol di Maria, tu solo intendi L’alto misterio del piacer verace. Oh se Dio noi difende, il grave fiato, La dura man dell’uomo, estinto avria Questo gracile fior che pensa e geme. Serva a tue voglie ed alle altrui, tu regni: Tu del tuo sen l’infante nutri, accogli L’uom dolente al tuo seno, e del tuo core Scaldi il cor che già sente in sè la tomba. Gli Angeli, come rose al vento sparse, Raccolgono i tuoi preghi; e il capo chino N’ha della schiava umanità ghirlande. Chi numerar sapria quanti un affetto Chiuda pensieri, e quanti affetti un suono? Chi ridir quanti de’ comuni affanni Nelle bestemmie tue, Lelia, prorompano, Ne’ sospir del tuo canto e ne’ sorrisi? Al piede snello non calzar dell’arte Il piombo; il mite lacrimoso ciglio Non gravar d’accademica burbanza. Tu se’ donna, o poeta: e quando intendi, D’ire superbe e dubbi freddi armata, Più che donna parer, cadi, e il serpente Della noia ti striscia al petto e al crine. Tu se’ donna. A volar tra’ raggi e il verde Delle valli e del cielo ove crescesti, E nel concento de’ ruscelli noti Inebrïarsi, e all’ùmile gioire, E ad intender la croce e ad abbracciarti Col dolor, fido sposo e caldo amante, L’anima tua gentil creava Iddio. Scende via pe’ declivii della vita Torrente, il sai, più ruinoso amore. E se pensati errori e cerche ambasce Trama a te la procace fantasia; Pensa ai veri dolor’ che sugli umani Piovono come i rai d’un dì sereno: Pensa a lor che per molti anni contente Stettero a un solo affetto, e morte il rompe; Pensa alla pura vergine deserta Del suo lieto desìo; pensa alle fide Derelitte; alle madri, a cui la prole Chiede piangendo pane, e pan non hanno; Pensa le inferme in angoscioso letto; Quelle che für vendute, o sè vendéro; Tutti, col Figlio umìl, coll’alta Madre, Per la lunga de’ secoli catena, I duoli accogli delle umane genti; Te, misera, per tutti espïatrice Ostia consacra: e allor saprai l’amore. 1836.