• D’un quasi cieco e presso a esser vedovo

    D’un quasi cieco e presso a esser vedovo Sole di Dio, la vivida Luce che crea l’aprile e fa l’aurora, Nella pupilla languida Versa di sè pur qualche stilla ancora. Qual chi da buia carcere Esce all’aperto, e la catena ha seco; Qual chi, l’opaca tunica Toltagli, esclama: or non son io più cieco?; Tal, come di miracolo Quotidïan, ti rende il pensier mio Grazie, e con gioia trepida Dice: I’ ti veggo ancor, sole di Dio. Dal buio che l’attornia, Discerne ancor sulla parete il bianco Raggio posare, e il coglie, Quasi candido fior, quest’occhio stanco. Ma non distingue il tremulo Scintillar delle stelle, e i bei colori Dell’iride, e il sorridere De’ visi amati, e in mezzo al verde i fiori. Ah sia continue tenebre La mia giornata estrema tutta quanta, Purché tu sole all’anima Quaggiù mi resti, oh mansueta, oh santa. Nel pazïente e vigile Senno romita, ed umilmente altera, Tu nel mio verno un florido Ispirasti alitar di primavera. La man tua fida il povero Cieco sorregga, e di tua mente pura L’occhio la via gl’illumini, Salvo mi scorga alla mia sepoltura. Senza di te, cadavere Pien di vivi dolor’, che farei io? Della sua pace il raggio Non mi s’asconda. Orate, Angeli, a Dio.