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Materiali d'archivio
Fondo Tommaseo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
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Eventi
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Niccolò Tommaseo et Nantes: mostra allestita in occasione del convegno internazionale di studi Tommaseo europeo per il 150° anniversario della morte di Niccolò Tommaseo(1802-1874)
Voluttà e rimorso. Elena. (Esametri)
Allor che ’l fremito de la pugna da l’ardua torreAscolto, al sommo del petto il core mi balza,E dico: ahi quanti da la ferrea destra di MartePer te tormenti sostengono, svergognata,Troia di destrieri domitrice e i nobili Achei!Per te di vedove consorti e d’orfana prole,Fùnebre, ne’ tetti, ne’ templi corre ululato,Che ’l giovane ancora genitore e il dolce maritoVeggono travolti rotolar ne la polvere, e piantoE laï versando sul petto recente ferito,Reggono con mano la cara cervice cadente.Ma de gli estinti e de’ gementi ti fugge la vistaSe Paride ammiri tornar da la strage cruentaIncolume. E te, da lungi accennante, saluta;E il sangue appreso e ’l tintinno de l’arme sonantiLo fan più bello. Ma tu l’ancelle chiomateSollecita appelli, gli apprestino i caldi lavacri.E’ sale a l’alte case: e, ancor di lorìca gravato,I’ me gli stringo, com’ellera lussurïanteA querce altera frondente di verde novello;E la man trepida, le ondanti creste de l’elmoPosate a terra, il bel crine di polvere sparsoCarezza, e terge il sudor de le floride guance.Ahi! ma le abondanti dal petto care paroleUn nume ignoto raffredda, e la voce rimansiStretta alle fauci nel nome di dolce marito.E quando, in forte amplesso commista d’amore,Il cor segreto tutto negli ignei baciSi sface, nomarlo la bocca ansante ricusaUom mio. Deh quanto con lacrime t’invïdiai,Te che al compresso mio duol compiangi tacendo,Figlia di Priamo, bella d’Elicáone sposa,Laódice! A te di pura dolcezza rigatiGli amplessi, a te di tristo rossore la fronteImmacolata. E tu, splendor de le troadi ninfe,Oh tu cui ’l sacro Priamo parla riverente,Andròmaca, allor che incedi a Dïana simìle,Bella d’odorato peplo e d’argentei veli,A te d’intorno un sommesso d’amore susurroCorre, e l’ùmil volgo s’arrestano contemplando.Perchè la vista di quel tuo dolce rosatoPallor virgineo e de’ semplici sguardi soaviRegger non posso? Perchè tua voce modesta,Qual d’usignolo ch’entro a fragrante rosetoCanta sul primo tremolar de le vergini stelle,Mi suona nel petto quasi suon di triste novella?Fuggir m’è forza e della magion ne’ recessiCelar la cura. Quivi Etra di Pìtteo nata,E Clìmene fida, ridenti ancelle, beateAncor del tenero fior dell’improvvida vita,A me pensosa, tessente le lucide tele,Trascorrer fanno talor su la china pupillaUn mesto riso. Ma quando la lor giovinettaBeltà ragguardo, mi toma söave dinanziDi te che ’n Argo le morbide tele sedeviMeco tessendo, cara nutrice, l’imagoMaterna. E Giuno mi mette ne l’intimo pettoDe’ patrii tetti, de’ non più visti parenti,E di chi primo mi fe’ sua, dolce la brama.Ma come, ahi misera! de le donne argive lo sguardo,O del cognato, o di te soffrire potrei,Figlia? Quale a me, di doglie tante ministra,Qual fôra l’amplesso, la voce de l’inclito Atride?Stolta! e tu pensi ch’e’ dorma fredde le notti,Di te sognando, Meneläo di Marte l’amico,Nè tenere ancelle, all’incendio di predataCittà sottratte, dono di nobili Achei,Di giovane amplesso l’allegrino ? Tale d’amoriPonesti a’ ciechi mortali immobile fatoTu, Dea, che a Gnido sorridi ed a l’alta Citera.Di Giove l’arcano senno a te, lieta Afrodìte,Serve; e la madre mia l’attesta, e i forti gemelli,Castore del corso mastro, Polluce de l’armi.E tu l’attesti, dell’inclito BellerofonteNata, ch’a l’Egioco confusa in amore, creastiIl simile a’ numi Sarpedone, Laodamìa.Queste ne l’intimo core mi mormora blande loqueleLa santa Citerèa, ch’a me de le cure latentiSgombra da l’immoto pensiere la pallida nube.Talor la veggo spuntar ne’ languidi sogni,Come da l’Oceano i raï d’Espero dolce-tremanti;E al seno, ed al passo leggier quasi voi di colomba,La Dea conosco. Ridesta, in amor mi si volgeL’infiammata anima; e al chiaror de la luce novellaChe su i torniti letti risplende, lo veggo,I be’ crin, sulla rosea cervice fluenti(Quale infra’ lauri d’Eürota il Cinzio nume,O quale in selva il bellissimo Endimïone),Quel per cui Priamo sua figlia dolce mi noma.Dal suo respiro i’ pendo, e me dico beataCh’unica fra tutte l’argive e le troadi ninfeOrno gli odorati talami di tale marito.E se di veli ondeggianti e di splendido peploBella oltre all’uso i’ paio, e più vivida fiammaPer me ’l pensiero comprendegli, grazie vêr teUnqua più calde non salsero, lieta Afrodite.Ma nè i diletti nè ’l duol del core profondoHo cui narrarli: nè qui di conscio risoSon dati a me misera i conforti, o di conscio lutto.Qual chi per selva di pruneti orrida e d’anguiCerca smarrito calle e vestigïa note,I’ non rinvengo me stessa. E stranïa vivo,Strania vivrommi finché vecchiaia mi colgaSquallida ne’ tetti per me di floride viteOrbati. Lutto a’ presenti, infame saraiFavola a’ venturi. Deh morte piaciuta mi fosseAnzi che ’l talamo antico e i diletti parentiLasciar! Deh slanciata m’avesse la negra procellaSu i ripidi scogli o ne la spuma de l’onde sonanti!