• La carcere

    La carcere Nella mesta prigionia Son più libero di pria. Ha la carcere il suo vanto, Ha la sua dolcezza il pianto, Ha la pena i suoi piacer’. Sono ignote ai cuor’ superbi Le delizie che tu serbi, O Signore, all’uomo oppresso. Quand’è in pace con sè stesso, Gli è felice il prigionier. Sente, è vero, in fondo al cuore, Più che il suo, l’altrui dolore; Ma non teme e non s’attrista, Non s’adira, ed ali acquista A magnanimi voler’. Così rondine che il fiume Rade, e bagna in lui le piume, Vola in alto agilemente, E rivede il sol fuggente, E saluta il suo cader. Ma del dì, ch’io veggo, i rai, O Signor, non fuggon mai; Grande ognora, ognor crescente, Sempre mite e sempre ardente, Sempre invitto in suo poter. E contempla il suo splendore La mia mente; e passan l’ore: E il cor mio non è mai solo, Perchè a me con vario volo, Sovra il capo al carcerier, Per le triste inferrïate, Quai colombe innamorate, Entran l’alte rimembranze, Le instancabili speranze, L’ardue gioie, e il pio doler. Oh Signore, agl’infelici, Agli erranti, a’ miei nemici, Sii propizio, e in loro spandi Quella pace che tu mandi Ne’ suoi sonni al prigionier. E a que’ pii che del mio danno, Più di me, pensosi stanno, Tu sovvieni e li consola; Parla in lor la mia parola, E rivela il mio pensier. Salve, o Sol, che le pareti Di mia stanza ignude allieti, O colombe, o vaghi uccelli, Che nel sol volate snelli Via per liberi sentier’, Non v’invidio: il mio pensiero Via per libero sentiero Vola anch’esso; e riverente Dell’insonne e del languente S’inginocchia all’origlier. Sento il grido de’ passanti, E la lieta aura de’ canti Io respiro consolato, Come l’alito odorato Di giardino o di verzier: E rispondo, e godo anch’io, Lor compagno; e a lor desio (Deh, non giunga il dì del pianto!) Generoso e puro il canto, Incolpabile il goder. Nella mesta prigionia Son più libero di pria. Ha la carcere il suo vanto, Ha la sua dolcezza il pianto, Ha la pena i suoi piacer’. Gennaio, 1848.