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Materiali d'archivio
Fondo Tommaseo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
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Niccolò Tommaseo et Nantes: mostra allestita in occasione del convegno internazionale di studi Tommaseo europeo per il 150° anniversario della morte di Niccolò Tommaseo(1802-1874)
La carcere. A Enrico Stieglitz
Bello il patir, se dall’umana valleLeva in alto il pensier sì che comprendaPiù gran gioja di cielo e di campagna.Già del carcer la porta a me s’aprìa(Stanza d’onore), e dalla soglia il guardoVolsi, e ti vidi, Enrico, e il cor segreto,Più che in molti anni, in un balen conobbi:Ed or s’incontra nell’aperto soleIl mio col tuo pensiero: e da mattinaVeggo una mano, al carcerier non vista,Come d’amico spirito volante,D’alto passar tra le ferrate sbarre,Stringer la mia. Ma tu per me gli aspettiVarii del mare, e la diffusa luce,Che par più viva all’alitar dell’aure,Godi nel cuore: e in nome mio salutaQuei che fede e valor creò dall’acque,Come dal campo i fior’, palagi e templi,Quanto vetusti più, tanto più cari:E le immagini sante e i monumentiDegli Antichi magnanimi salutaIn nome mio: saluta i monumenti,Vera cittade, augusti altar’, che stannoVivo esempio alla terra, al ciel preghiera.Nè questo nido è a me di gioie avaro.Come liquor che posi in terso vetro,L’alma s’appura in solitaria stanza,E del vero i color’ lieta rifrange.Pe’ silenzii notturni arriva interaLa sommessa armonia d’una favellaDesiderata, che i rumor’ del giornoSperderian come fronde in gran tempesta.Nè mai con tanto amor dal cielo al mare,Che sotto i miti rai gioisce e trema,Corse l’occhio, e notai quale si aggiungaPellegrino compagno ai radi e mestiLegni, onde omai, come canuta chiomaDi pochi fior’ languenti, s’inghirlandaLa riva a cui d’alte galee minaciAgile selva concorrea, sonanteDi ben sudato argento, e di lontaniIdïomi e di cantici e di trombe.Notai le tese vele a mover pronte,Ovver già stanche della lunga via;De’ remator’ notai la vigoriaLeggiadra; e in ogni gondola, radenteL’acque, di casto amor misi un segreto.E il favellìo che dal soggetto ponteIl pio di Chioggia pescator mi manda,Piacquemi come l’armonia d’un canto.E grazie rendo all’uccellin che degnaSulla finestra mia l’ali sue snelleChiudere; e sento le colombe fideScuoter le penne e mormorar d’amore.Ma più col cielo che col mar favellaLo sguardo mio (chè la stagione e il locoMi son di verde avari; e poco fioreOrna la stanza mia più ch’oro e gemma).Più con il cielo che col mar favellaL’occhio mio fioco; e il ciel co’ suoi coloriInterroga e risponde a’ pensier’ miei.Nè mai sì mesto io prigionier lo vidiCh’e’ non mi parli al cor liete parole.Se un vel di nubi tutto quanto il vela,Allor somiglia il dì notte serena;Ed in questo sognar l’alma s’appaga.Ma, quando scorgo dalle nubi un raggio,Qual da massi ammontati acqua corrente;Siccome a voce d’insperato amico,Il mar sorride; e quella mesta paceM’è più bella a veder che non la pienaGioja dell’aria, allor che il sole a nonaI suoi candor’ fin quasi ai lembi inviaDell’Orïente estremo, e in sua favellaDi presto a lui tornar gli dà speranza.Ma l’occhio mio, quasi piagato augelloChe scioglier l’ali in vêr l’amato nidoBrama e non puote, indarno all’universoDi fuora intende il volo, e un raggio invocaChe le lontane gli scolpisca e pingaDella terra e del ciel forme e colori.Ahi di tanta armonia giungemi, comeA tarde orecchie, languido concento:Ogni leggiero digradar di lumi,D’ombra ogni vel, così scerner vorreiCome lo sposo nel baciar vagheggiaGli occhi e i capelli della moglie amata.Vorrei d’aereo poggio ogni risalto,Vorrei d’aeree nubi ogni figuraCosì veder, così ritrarre in carte,Come perito artier ciascun ordignoDell’arte sua conosce e chiama a nome.Ma chi de’ fiumi conterà le stille?Nè vasel di parola è che comprendaDelle bellezze il mar che ha fatte Iddio.Già di questa, che ancor molto m’avanza,Gioja ringrazio, e in lei tergo il pensiero,Come fanciul che dal nuotato fiumeTorna cantando, e vede al ciel salireTra ’l verde il fumo dell’umìl capanna.Nella carcere, febbraio, 1848.