• Il nuov’anno

    Il nuov’anno Sorgete; ecco il nuov’anno: e dite un canto, Un nuovo canto a Dio. Tutte leviamo L’inno di grazie a Dio, create cose. Le crëature della man Divina Ama, o anima mia: con lor favella, Odi quel ch’esse ti diran di Dio. Scendi con pace, e le radici e i germi Difendi, o neve, che daran pietosi L’erba agli armenti, al poverello il pane. Un Angel pio sulle ignudate cime Vi rattenga, o valanghe: ubbidïenti Vengan, com’agna mansueta, i fiumi. Rorate, o cieli; consolate i campi Del vostro pianto, o pure nubi; e dite: «Non dalla terra, ma dal cielo, il pane.» Miti splendete al pellegrino stanco, O soli; e tu risparmia alle fumanti Ferree prove, oceàn, la tua tempesta. Manda, o Signor, conforto entro a’ pensieri Del mercenario infermo, e del soldato In armi senza gloria incanutito. Piangi, cuor mio, del cavator sotterra La travagliosa notte, e del percosso Negro le strida acute e l’agonia. Non saran col superbo i miei pensieri: Ne’ suoi diletti è sangue: egli brïaco Danza su membra umane e le calpesta. Giaccion prostrati i lagrimanti a mille: E tu su quel dolor, sole, risplendi Come su fiore allegro e in limpid’acque. Muoiono, o terra, non compianti a mille, E muta li divori; e sulle ignote Ossa germoglia il fior, mormoran l’acque. Ma tu, Signor, pietà del poverello, Tu, che alla rondinella pellegrina Immensa via senz’orma alcuna insegni; Tu, che al troncato polipo ridai Moltiplicar sua vita, e fai l’insetto Da’ suoi veli di morte uscir volando. Volo è la morte. E ciò che al senso pigro Quïete sembra, è brulicar latente Degli atomi che amor arde e ricrea. Più che di raggi il dì, fitto è di vite Lo spazio: e i regni de’ viventi ascendono, Gradi sublimi dell’altar di Dio. Più che al sublime, al bello i’ t’amo, o Dio, E ti pavento: e più che gli astri immensi, Te narra il guardo umano ed il sorriso. Splendi, Signor, dal guardo umilïato Dell’orfano digiun, del vecchio stanco, Della fanciulla nell’amor tradita. Quante morti vedrà, quanti dolori L’anno che viene, e a’ secoli correnti Se ne va, come stilla all’ oceàno! Dice l’Angel di Dio: «Belli i dolori, Se il raggio dell’amore in lor si frange, Se fan più lieve della carne il pondo.» Esultò nel dolor l’anima nostra, Siccome uccel ch’ode tra balze il fiume Scender fecondo nella valle, e canta. Iddio sospinge al basso, Iddio rileva. Coral divelto, all’aria s’invermiglia, Vezzo al candor di seni immacolati. Diciamo, anime afflitte, un inno a Dio. Nell’ordin lor le stelle e gli elementi Per gli amati da Dio combatteranno. Udite, o cieli, dell’amor la prece; Ascolta, o terra: e l’odio muoia; e atroci, Ite calpesti al suol, vasi di guerra. Unite, industri, e di pensier fiorenti Sien le cittadi: e sii, tu, Dio degli avi, Fido regnante di miglior’ nepoti. Da campi, rossi di fraterno sangue, Crescete, o mèssi; e del tuo verde, o terra, Vela i misfatti antichi e le rovine. Chè sei tutta rovine. E il fuoco e l’onda Ti squarcia: e via per l’alto infaticata Trascorri, e porgi all’uom pane e ghirlande. Gli Spirti a mille sovra te volanti, Sul corpo tuo, quasi un tessuto velo, Veggono insiem la primavera e il verno E l’aurora e la notte: odono insieme Della battaglia i bronzi e delle preci, E della morte e delle nozze il canto. Tempo verrà che in vortice di fiamme, Terra, cadrai come ruscello in fiume; E in maggior cielo emergerai più grande. E periranno i soli; e noi vivremo, Signor, con teco: e più che sole ardenti Fiano i pensier’ dell’anima che t’ama. Da questa valle di perigli e pianto Noi t’invochiamo. Oh delle altezze eterne Infinito desio, venga il tuo regno. 1843.