• Luigi Filippo

    Luigi Filippo Nol sapea l’infelice? Il trono anch’esso Ha suoi contagi: e mal torre s’innalza Sulle macerie della torre antica. All’altrui fronte la regal corona Svêrre sperava, e non ne aver l’ebrezza Che sul capo dei re permette Iddio. Te, conte di Parigi in sull’aurora, A mezzogiorno re, bandito a sera, Te la madre anelante e tremebonda In notte inospital per le campagne, Molle d’acqua i capelli, i piè nel fango, Come la prole d’un ladron, traea. Misera donna, che del regio letto Nel casto capo e nel giovane fianco Tutte sentì le spine: e la speranza Lo spumante bicchier le porse ai labbri Lieve arridenti, e lo ritolse e ruppe. Altri, o fanciullo, troverai per via Reali in fuga; e invidierai la fame Dell’orfanel che, per amor di Dio, Alle capanne accatta il pane, e canta. Perfido mare insazïato, il regno! Naufraghe teste nereggiar sul fiotto Spumoso, e a sangue mista onda stillanti Veggo i Stuardi, e le nudate membra In sull’arena riposar di Francia. Poi, come al rifluir della marea, Inghilterra, alle tue candide rupi, Veggo gettato il nuotator gigante Che osò cingere assedio all’Oceàno. Ma non te, come lui, di sue paure Anglia gelosa onorerà, Filippo: Starai vascello dalle bombe illeso, Marcio dall’onde, nel cantier britanno. Nè te dell’ire sue degnò Parigi: Come a cadaver sacro, a’ passi infermi Lasciò sentier tra le frementi vie E tra i cocchi riversi, e il pavimento Che popolar tremuoto erge in battaglia. E nell’esiglio penserai le blande Date promesse, e l’attenere avaro, E i rimpianti dell’anime, e i disdegni Barattati per nastri e per argento: Rammenterai la torre ove sponesti, Di vergogna spettacolo, colei Che la santa tua moglie avea nepote, Fragil virago, e vedova feconda: Rammenterai la torre ove tu lasci, Rotta tua fè, quell’Arabo pugnace Che pe’ riti degli avi e per le bianche Tende spiegate nel deserto a’ venti (Patria vagante, altar sempre compagno), E per la donna infra le molte amata, Contemplando e fuggendo, combattea. Tenda il tuo regno, che si spiega a sera, E si ripiega il dì. Come di carro Strepito breve e polverìo, passasti. Passò la gloria tua, come l’odore De’ tuoi banchetti, e delle danze il giro: Ed or che la perdesti, il peso or senti Della corona. Oh misero briaco Per diciott’anni, e di te stesso in bando, Al senno alfin ritorni. In Dio t’affisa. Il tuo prigion tel dice: è grande Iddio. In carcere, 15 marzo 1848.