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Materiali d'archivio
Fondo Tommaseo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
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Niccolò Tommaseo et Nantes: mostra allestita in occasione del convegno internazionale di studi Tommaseo europeo per il 150° anniversario della morte di Niccolò Tommaseo(1802-1874)
Alle madri italiane
Se, per vedere al suo figliuol rifatteLe forze inferme, il manda alla campagna,Tenera madre col suo cuor combatte,Trema e si lagna.Corrono (e voi gliel consentite) a morteI figli, o madri, i vostri figli. Or comeSubitamente vi suonò sì forteD’Italia il nome?L’Angel d’Italia alla sacrata e caraLibertà scorge noi per via tremenda.Grazie, o Dio! di Custoza e di NovaraAvremo ammenda.Nella notturna cameretta sole,Quando più fervon le memorie, quandoNon vi sentìa la piccoletta prole,Veglianti orando,Qual chi da morte ad involarsi affretta,Varcati i monti, vedevate il figlioEsultando arrivar dove l’aspettaNobil periglio;E i soldateschi imperii ed il fetorePatir di sozzi alberghi, e le leggiadreMolli usanze oblïar, tenendo in cuoreSola la madre;E alle corse affannose venir manco,E riaversi ove l’odor li appelliDella battaglia; e nella polve il biancoCollo, e i capelli,Cui componeva il carezzar pudicoDella sorella; e sulla testa amataInsister l’ugna del caval nemicoInsanguinata.Ma più che ostil conica palla o brando,L’acre velen della bestemmia, o pia,Per lui temevi. — «A voi lo raccomando,Dolce María.L’Angel Custode suo gli abbia fraternaCura, col mio: nell’anima segretaSempre gli stia l’immagine materna,Tra mesta e lieta.Se in nemico spedal, pien di ferite,Cadrà, pietoso alcun deh gli si mostri.Sentan pietà delle avversarie viteI figli nostri.Se una medesma fossa e lui rinserraE chi me lo ferìa.... Che penso io mai?»Fiero tributo, o donna, a questa terraDi sangue assaiRecâr l’estere torme insultatrici,Delle dure ossa lor pingue la fèro;E il giardin delle genti a’ suoi nemiciFu cimitero.Ma i suoi nati in lei furo e lupi e serpi;Nè guerreggian tra sè le serpi o i lupi.Gemon sangue fraterno i fior’, gli sterpi,Gli atrii, le rupi.Or dal sangue di vinti e vincitori,Misto, a disperder la tempesta neraDell’odio atroce ch’avventò dolori,S’alzi preghiera.Nuovo a se stesso, un popolo gentile,Dal forte amplesso delle madri santeVeggo un’Italia uscir, severa e umìle,Armata e amante.Veggo (siccome nebulosa e lieveSpande l’arbitrio de’ fiammanti vanniStella recente, e, ad educarla, è breveSecol mill’anni),Veggo che lenta lenta si maturaNella fervenza del divino aspettoUn’altra Italia, più gentil natura,Maggior concetto.Quel che libero par, parrà tirannoE servo allora; e le città regineDi lingue molte, in quella età sarannoBorghi e rovine.Di madre allora il nome, ancor più santo;Chiesa e famiglia e patria, un solo amore;E questa terra, la vallea del pianto,Del cielo un fiore.1866.