• Trieste

    Trieste I Aura spirò dal platano Che i detti udía di Socrate, E dal Cefisio margine Che poesia fiorì; Passò da’ sassi d’Itaca, E fece il fumo ascendere, Meta al desio dell’esule, In sul morir del dì. E dai giardin’ d’Alcinoo, Che nel tuo verso floridi Son sempre, o cieco povero, Soavi odor’ libò. Tra’ rami alle fatidiche Quercie volò, ricovero Della colomba egizia, E mesta susurrò: Venne alla mia Dalmazia; I canti che Girolamo Chiese al Giordano, e il Lazio Ne’ secoli echeggiò, L’aura nel suo passaggio Colse da te, mia povera Patria, com’ape il nettare Coglie da’ vivi fior’. E nell’Arena d’Istria Vuota (empietà magnifica), Sente le tigri fremere, E gli uomini, peggior’. E dell’umane glorie La pellegrina aerea In sè raccoglie i gemiti, E l’inno dei dolor’. E tante in te memorie, Trieste, riposandosi, Depon, siccome artefice Stanco del suo lavor. II Altre da’ lidi siculi Aure fragranti aleggiano, E il carme di Teocrito Fanno volando udir, Tra le armonie mestissime Di lui che da Catania Nuova di casti numeri Fece una vena uscir. Passando da Posilipo, Altre armonie s’aggiungono, Come ruscei che accorrono; E il fiume n’esultò. E il Vico accenti mistici A quelle note attempera, E l’Aquinate altissimo, Cui l’Allighier cantò. Dal letto di sue ceneri Mise una voce languida Pompei sopita, e, pallida Ma bella, il ciel mirò. Ferve di vita e d’opere La genovese darsena: Riscuotonsi le italiche Sopite spiaggie al suon. Nè contro a Pisa e a Genova Sgorghi infernali incendii, Ma spanda amor magnanimo, Dante, la tua canzon. Dell’aure all’ale tenui Gloria e bellezza affidino L’onde che volge il Tevere E il Mincio e l’Arno e il Po; E in nuvoletta arridano Della speranza al raggio L’acque che, miste a lagrime, Venezia distillò. III Quelle roranti nuvole, Quelle armonie, quegli aliti, Come colombe al nidio, Chiama Trieste a sè. Di tre valenti popoli, Figlia, sorella, ed ospite (Tali destin’ la vigile Industria e Dio ti fe’), De’ fior’ di tutta Italia Qui fioriranno i calici, O di lontano unanimi L’aure verranno a te.