• A fanciulla ricca

    A fanciulla ricca Lieve qual sogno, e limpida Come un albor del vero, Una leggiadra immagine Spunta nel mio pensiero; E a quel pudico e timido Raggio, le idee si pingono In placido candor: E a lei, come ad antica Del suo segreto amica, Arride il mio dolor. Lasciami. Assai nel vortice Delle affannose danze L’ebro voler travolsero Le giovani speranze. Delle memorie il languido Bacio mi resta, e i vedovi Sorrisi, e il bruno vel. Mèta comune, o pia, Ma ben diversa via A noi segnava il ciel. Non vedi? A te di rosei Piacer trapunta veste, A te le chiome in lucida Gemma ed in fior’ conteste; A. me solinga e povera Vita di spregi, e gl’impeti Di non compianto duol; E degli altrui dolori Rimorso, e senza fiori Tomba in estranio suol. Vivrò beato e giovane Ne’ tuoi pensieri almeno: E, qual sull’ale gracili Nell’etere sereno Di due lontani spiriti Alzansi i preghi, e paiono Entrambi un sol sospir; Così raggiando in Dio A rincontrarsi il mio Verrà col tuo desir. Quando, lontana, il tenero Viso e i soavi rai Di pura fiamma vividi Nel cielo affiserai, E careggiando i mobili Veli un’auretta tenue Coll’alito verrà; Mio quel brillar del cielo, Mio quel fremir del velo, Mio quel respir sarà. Di vane larve, improvido, La tua miseria inganni, E false gioie accumuli, Materia a veri affanni. D’acqua di rio che tenue Per facile declivio Nutre per poco un fior, In lei sarà più breve La tua memoria. Ahi lieve È de’ felici il cor! Quando insperata e tacita Mi ti mostravi, e i casti Occhi parlaro, o vergine, Forse ad altr’uom pensasti; Forse l’altero ed arido Cor disdegnò che i liberi Occhi levassi in te. Ma questo, in ch’io deliro, Non è d’amor martiro, Gioia d’amor non è. E non altero ed arido Ti parla, o donna, il core: E quel che me sollecita, Misera, è ’l tuo dolore. Nè le tue gioie invidio, Ahi poche! e non desidero Al fior di tua beltà. Già sacra, già matura Ti scorgo alla sventura, E, vinto di pietà, Gemo in desiri e in tedii Perire i tuoi dolci anni, E della mente gl’idoli Farsi del cor tiranni. Temi il tuo core, o misera: Hanno (e ’l saprai) le lagrime Anch’elle il suo velen. Dalla comun sozzura Ti lavi il pianto, e pura Il duol ti serbi almen. Pura ti serbi. All’esule Che ti chiamò sorella, Giammai non suoni, o vergine, Dura di te novella. La tua celata immagine E’ serberà negl’intimi Sacrarii del dolor; E, finch’ei vive, avrai De’ tuoi segreti guai Conscio e consorte un cuor.