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Fondo Tommaseo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
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Niccolò Tommaseo et Nantes: mostra allestita in occasione del convegno internazionale di studi Tommaseo europeo per il 150° anniversario della morte di Niccolò Tommaseo(1802-1874)
Sofia
Sempre più t’amo. E come l’aer vivoMi circonda, e nutrisce il mio pensiero,L’imagin tua m’attornia, e in me penetra,M’umilia a terra, e mi solleva in alto.E meco invan combatto, e i miei desiiArdo d’aprirti, e tremo, e l’ebbro coreSempre favella più ch’io non vorrei.No, turbar non vorrei con soffio ardenteL’anima tua, che, quasi mar profondo,In sè posava, e le lontane stelleE le casette della costa candideE i color’ vaghi riflettea del cielo.Io l’ho turbata; e su’ tuoi giorni, indegno,Di perpetuo dolor nube distesi.E ch’io l’obblii? Se non l’amore, o donna,Il mio rimorso a te mi stringeria.Gravoso a me son fatto, e fuggo il mondo;Ch’ogni parola m’è crudel rampogna:E le memorie mie fuggo, e me stesso.Ma tu riposo ai miei stanchi pensieri,Tu fra la terra e il ciel mia via lucente;Tu la miglior di me parte, Sofia.Ah potess’ io dall’anima trafittaTrarti il mio nome, ed in me solo accôrre,Venerata infelice! i tuoi tormenti.Come pioggia in primavera,Che vien placida e leggera,E ogni goccia è un nuovo fior,L’ amor tuo m’entrò nel cuor.Crebbe in lagrime e in terrori;Con radice di doloriProfondato in noi si sta.Qual tempesta lo svêrrà?Non è impeto del senso,Gli è un ardor quïeto, intenso;Gli è un amplesso de’ voler,Un respiro del pensier.La tua voce al cuore avvisoÈ, Sofia, del paradiso:E gli sguardi e i cenni sonArmonia d’etereo suon.Vorrei pingerti qual sei,Pura in cima a’ pensier’ miei,E di lodi a te rizzar,Benedetta, un degno altar.Ma non posso: e a te, Sofia,Non so dir, che, unica mia,Piuma e luce del mio cor,Mio severo e sacro amor.O Sofia, d’austeri affettiCircondiamo i nostri petti;D’ogni buono e d’ogni verArda, eletta, il tuo pensier.Ogni cor che in terra geme,D’un amore amiamo insieme;Alto e ardente, come il sol,Ferva, o donna, il nostro duol.Questa del mio penar sola mercedeChieggo, gentile, a te: credi che t’amo.Fra i bisbigli del mondo e le maligneNoje, la voce del lontano amico,La mesta voce del lontano amicoTi si faccia sentir. Gioie non chieggo:La tua pietà ti chieggo. Ogni speranzaCon le mie mani mi schiantai dal cuore.Tutto mi attendo; ma che tu mi sprezzi,Nemmen per sogno imaginar potrei.Perchè tu madre, e tu figliuola mia,Ed angelo fidato; e tu mi seiInesausta bontà, raggio di Dio.Sei tu, Sofia? La notte nera involaIl soave tuo viso all’occhio stanco,Ma sento il suon della virginea voceChe il cuor ferisce e allegra, arde ed acqueta.Come un’aèrea vision, tu vieniA consolarmi. Accanto a me, sorella,Siedi su questa tomba. Il cielo e tutteLe sue innumerabili favilleSon degni testimon’ di puro amore.Non t’accostar. Sia tra noi due riparoLa pietra del sepolcro. Ah! come mortaTu mi sei; come morto a te son io;Una lontana indagine, siccomeRiflessa in acque limpide, che lievePassa pe’ sensi, e nel pensier si stampa.Un suon di voce, e di memorie caste,Ciascun dì rifiorente, una ghirlanda;Null’altro, o mia gentil, di te mi resta.Come a beata che dal ciel discenda,Tesi ver te le braccia, e mi sparisti.Non temere; asterrò da te la mano,Che più lontano ancor tu non mi fugga.Posato ed alto parlerò, siccomeCanuto padre a figlia giovanetta,O come spirto a spirto in paradiso.Dimmi, Sofia, com’è che tanta angosciaDi desìo da’ tuoi occhi, e sì quïetaGioia in me spiri dalla tua favella?Come, in sì fiero amor, pensier’ sì lieti?Non t’appressar, riprego. Ecco si senteLa campana de’ morti. Oh fortunatoChi finì la sua prova, e la battagliaD’onte segrete e rei dolor’ non teme!Donna, oriam per gli estinti, oriam pe’ vivi;Per ogni cuore oriam che piange ed ama.Inginocchiamci: è degno altar la tomba.Oh ardue gioie dell’amor severo,Voi l’egra anima mia sospira e teme:E tu, dolce aria del virgineo viso,Di te m’ispira. Oh! ultima ghirlandaDel nè giovane più nè vecchio capo,Cui del par vita e morte hanno in dispetto,Cara ghirlanda, non ti sfrondi maiL’alito di mie voglie maledette.Oh se coll’aura d’un sospir potessiSuggere i tuoi dolor’ tutti, e morire,O viver sì che fosse il pensier mioQuella parte del tuo ch’arde e patisce!Per un lampo darei del tuo sorriso(Ma che tu nol sapessi) il sangue mio.Ma tu, gentile, i tuoi dolor’ non senti,De’ tuoi superba e misera de’ miei.È a me di tanto amor sino il desio,È peccato il desio. Perchè non possoIn te guardar siccome occhio s’affisaIn lume lontanissimo di stella,Che non abbaglia il guardo e lo rallegra?Oh s’io dovessi nella tua memoriaGiacer com’uggia, errar come rimorso?Or dell’inferno ho doppia imago in mente:Dopo l’ira divina, il tuo disprezzo.Credi al cuor mio. Questo, ch’io t’amo è segno,Che il tuo dell’amor mio credo più grande.Non ha parole il tuo; ma forti, e insiemeMiti, pensier’, che volano al contesoDesir con affannata leggiadria;Ma notti insonni, e lagrime rappreseNel cor dal gelo degli sguardi altrui,E preci amare, e gioie ebbre di pianto.Uscite, uscite dal cuor mio, paroleDi velenoso pianto inebriate:E dal carcer del petto esca con voiParte del reo dolor che mi affatica.Ed io speravo che sarìa possenteLa mia voce a sanar le piaghe altrui,E i bramosi attutar dubbi feroci!Oh piaghe esulcerate dal sospetto!Sempre, sempre di me, di quest’infermoFradicio core lamentar degg’io,Mentre in lago di lagrime e di sangueNuota e boccheggia la famiglia umana.Ah non ruscello la parola mia,Armonïoso all’alme refrigerio;Ma sarà sgorgo di bollente e tetraAcqua che brucia l’erbe ovunque passi.Come mai dall’imagine serenaDi te, angelo mio, pensier’ sì foschi?Come da tanto amor tanti dolori?E potriano i dolori esser più fieri,Ma co’ flagelli mi commove Iddio,E non mi strazia: e con voci soavi,Come d’amante timido, mi chiama.Ed io cerco ed invoco il mio periglio,E dell’amor fo come un ferro acutoChe passi il sen ch’è tempio del cuor mio.Oh Angeli, a cui vita è la bellezza,Com’a noi l’aria e la spirata luce,Col ventilar dell’ale trasparentiRefrigerate, prego, l’ardor mio.Oh natura, oh di Dio dolce parola,Di fior, di luce, d’armonie sorreggiL’anima mia, perchè langue d’amore.Oh temuta mia gioia, o disperataSperanza mia, ferree catene porto;Ma in tutti i miei pensier’ le benedico.Meglio nel gran dolor, Donna, m’amavi;Ti ferìan più nel cuore i miei lamenti.Misero, io temo, e nel pensier più graviDel passato mi stan gli anni vegnenti.No, viver non saprai lontan da’ praviDella stolta cittate allettamenti,Nè consolata sostener gl’ignaviDel tuo misero amico anni cadenti;Nè in poveretta veste e in umil tettoStarti romita; nè partir con luiAbondante calunnia e scarso pane.Ma che vaneggio? E a che temendo affrettoLe mie rovine? Un sol de’ sguardi tuiEmpie del suo splendor più vite umane.Come corpo in cui spiri anima nuova,Sorgono i miei pensieri; e li ravvivaDi Dio lo spirto, e d’una donna il nome,Degna ministra all’infinito amore.Quelle parole che al cuor mio tu suoni,Umano amor non ispirò giammai.Dell’umiltà le strade e del perdonoCorro teco, e n’è santo il mio dolore.E questa notte, che con nuove punteMi strazia, o donna, il tuo patir, non fremo,Gemo, e perdono, e spero, e prego, e canto.Degno foss’io di te! Qual di fanciullaCh’altro non pensa che sua madre e Dio,Duri l’affetto nostro: e tal si specchiIl tuo nel mio pensier, come fratelloVede sorella, ambo beati in Dio.Come tu del pudor sull’alta cimaCon le amorose braccia mi levasti,Deh! potess’io sovra più alte cimeCon le amorose mie braccia levarti,Rapir l’un l’altro al mondo, e unirci in Dio.Non ti conosce il mondo: unica cosa,Unica in terra, e mia. D’amor ghirlandaAll’angelico capo unica avrai.Dolce Sofia, candor de’ miei pensieri,E dell’anima stretto abbracciamento,Fonte di freschi e limpidi piaceri,Celeste cosa è quel che di te sento:E dai dolor’, da’ freddi anni severiAll’ardor mio verrà nuovo alimento;Così la tomba in sacro altar si crea,Spira dall’ossa morte eterna idea.Serba, o pensier mio vedovo,Delle memorie il fiore.Quant’ebbe di più vergine,O donna, il nostro amore,Rimanga al mio dolor.Sorella del mio gemito,Sposa del mio pensiero,Tu sarai lume limpidoFra la mia mente e il vero,Tra la bellezza e il cor.Alla mia mensa tacita,Nella solinga via,Com’angelo invisibile,Sempre t’avrò, Sofia,Sempre vivrò con te.Sei mia. Di forti vincoliMi t’ha ’l dolore avvinta.Pria che, o gentil, tu giacciaNelle mie preci estinta,Mi scorderò di me.Fra il mio, Donna, e il tuo bacioStarà infinito Iddio.Tu fra le umane imaginiE il desiderio mio,Starai, virgineo vel.Pregar non posso, o credereCh’io muoia nel suo cuore.Ma tu in mio nome, o Vergine,Parla al cuor suo d’amore,Come si parla in ciel.La grazia sua continua,Il mio pensiero irrori,E fuor di me diffondasiCome l’odor dai fiori,Come dall’arpa il suon.Ad ogni passo dubbio,«Che ne di’ tu, Sofia?»Domanderò con l’anima.Ella è la voce mia,Il suo sospiro io son.Che fa se il mondo tiepidoLe fiamme mie non ama?Tu mi conosci. E cupidoQuasi verrei di famaPer farne un dono a te.Ma io delle tue lagrimeEbbi, ahi sì ricco, il dono:E quasi prece timidaVeniva il tuo perdono,O generosa, a me.Come del caro pargoloMadre la dolce vitaRiguarda, o come medicoFonda del sen feritaTratta con lieve man,Tu mi trattasti; e gl’impetiDell’ira e del sospettoIn te domavi. Ah gli uomini,Quand’hanno un forte affetto,Farlo sì pio non san.Gioie d’amor terribili,Non vi desìo nè spero.Pura terrai le splendideCime del mio pensiero,Gli abissi del mio corPura terrai. Suoi gaudiiHa duol voluto e certo:Ed è quïete altissima,Come di gran deserto,In disperato amor.Ma guai se pieno il turbineDà nelle arene ardenti!Se, a quïetar mie smanie,Altri ci vuol tormenti,Li aspetto, o buon Signor.Quando il dolor le numera,Lunghe, ah son lunghe, l’ore.Ma l’ore e i giorni passano,E gli anni; e alfin si muore:Giunge la pace alfin.Lassuso indivisibili,Sofia, gli affetti, e santi.Che son le nostre lagrime?Poca rugiada avantiLa luce del mattin.