• Fine dell’errore

    Fine dell’errore Oh di timida speme Infiammati desiri, Oh ’l pregar del silenzio e del sorriso, Oh d’un gaudio che geme Invocati martiri, Oh ’n mezzo ai baci il mirar lungo e fiso; Oh ’l pensier che, diviso D’ogni terrena cosa, Con tutte si confonde, Oh lacrime feconde D’alti concetti all’anima pietosa, A voi l’egro cor mio Muore, e vi dice addio. Troppo sprecai la vita; E, pien del mio desiro, Scarsa accolsi pietà de’ mali altrui. Or Iddio mi rinvita Per la via del sospiro All’amor ch’ogni cosa abbraccia in lui. A’ veri danni tui Volgi, misero, il core. L’inopia è alle tue porte; Giace in vili ritorte Italia; e forse il tuo padre si muore, E in cerca di te vola L’ultima tua parola. A cuor più degno sia Per la vita nebbiosa Raggio d’amor d’un’anima che l’ami: I’ n’andrò la mia via Sola, incerta, affannosa, Pregando al padre mio ch’a sè mi chiami. Nè per me vischio od ami Avrà più ’l mondo; e scarca Dell’amorosa salma, Farà la svogliata alma Siccome pellegrin che, mentre varca Gora di sucid onda, Guarda all’opposta sponda. La lieta e rea ventura, E la materia e Dio, Le somme e l’ime gioie, in me provai: D’ampia amistà sicura, E di volgar desio, E di virginea tenerezza amai. Or non più su’ miei guai, Ma sugli altrui dolori Sì fieri e sì diversi, Canto e pietà si versi, Sull’empie gioie, e sui traditi amori, Sulle ozïose cure, Sulle audaci paure. Franca d’immondi affetti, Potrà l’eterea mente Regnar sè stessa e le soggette cose. Nè, perch’omai disdetti A tua vita languente Siano gli amplessi di braccia amorose, Men care o men pietose Parran donne infelici; Ma com’acqua che in lievi Vapor’alto si levi, Poi riscenda in rugiade avvivatrici, In ampiezza maggiore S’espanderà l’amore. E, quando fia compìta La mia lunga agonia, Ritornerò col guardo a questo esiglio; Ai pensieri e alla vita Di qual donna più sia Misera volerò, fido consiglio: S’i’ la veggo in periglio, Sussurrerò al suo core Una casta parola; E lei delusa e sola Invoglierò di non fallace amore: Farò dell’ale un velo Tra la sua colpa e il cielo. In sul deserto lido Giaccio prosteso, e sento (Dallo sgomento l’anima rifugge) De’ naviganti il grido, Che tra ‘l fischiar del vento Ferisce il mio riposo: e ancor mi rugge Sopra la china testa La superba tempesta.